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Videosorveglianza di massa: un accesso agli atti per conoscere la rete Sophia a Pesaro e Urbino

ABSTRACT:
È stato firmato nel 2023 un Patto tra Prefettura e Sindaci della Provincia di Pesaro e Urbino per la costituzione di un sistema integrato di video-sorveglianza urbana. Questo sistema, denominato Sophia, era annunciato sul sito dell’Ufficio per il Governo del territorio già il 15 dicembre scorso.
Non era però presente sui siti istituzionali dei Comuni, né su quello della locale Prefettura, alcun documento che informasse i cittadini in maniera precisa in merito. Studiosi/e ed attivisti/e di obbligodigitale.it ed 3x1t.org hanno quindi effettuato un Accesso agli atti europeo per acquisire informazioni in merito, ricevendo risposte puntuali, quale il numero delle videocamere in rete (780) ma in parte evasive sulla reale e potenziale portata di una rete che per ora non usa flussi di dati in tempo reale ma che già presenta aree di opacità, ad esempio non consentendo ai cittadini di conoscere la mappatura eseguita ed i suoi futuri sviluppi.
Rispetto al riconoscimento facciale tramite biometria, dopo il pronunciamento del Garante (2021) circa la non ammissibilità (per ovvi motivi di distopico controllo sociale e comportamentale) del SARI Real Time (sistema di riconoscimento facciale in tempo reale), i cittadini non sanno come verranno gestiti eventuali dati forniti, tramite il Progetto Sophia, da apparecchiature mappate dal ‘Patto’ (che potrebbero esserne provviste) alle istituzioni che ne fanno richiesta. Il Progetto già mette in rete sistemi privati e intende farlo in futuro, sistemi quindi ancora più opachi rispetto all’uso di queste tecnologie. La domanda è: quanto capillare vuole essere questa rete di videosorveglianza? E quali criteri di analisi di immagini, anche a scopo di “prevenzione”, dovrebbero essere occulti per i cittadini, a giustificazione della loro efficacia, visto che la mappatura o cartografia del Progetto, come scrive la Prefettura nella sua risposta all’accesso, non verrà resa pubblica?
L’accesso agli atti è stato eseguito anche in solidarietà ad iniziative in corso in tutta Europa, come la campagna Reclaim your Face, la mobilitazione veneziana contro Venezia Smart City, e tante altre.

La storia:
Febbraio 2017: il Decreto legge sulla “sicurezza” delle città dispone, come metodo non preminente, la videosorveglianza di zone “maggiormente interessate da fenomeni di degrado”, citando anche “plessi scolastici e sedi universitarie, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura o comunque interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verde pubblico” come da sottoporre a maggiore controllo. La videosorveglianza, già del resto attuata dalle istituzioni pubbliche e di polizia (svincoli stradali, sistema di riconoscimento targhe, videocamere municipali) e da privati, non manca certo in Italia, e il Decreto NON ne consiglia un uso ulteriore essendo già massivo l’uso di questi sistemi.
Succede però che in alcune città, non solo con l’esperimento veneziano della “Smart control Room” in atto dal 2021 ma anche in Comuni nei quali si è giunti all’uso del riconoscimento facciale (si veda il procedimento del Garante privacy verso i Comuni di Arezzo e di Lecce nel 2022) le telecamere siano divenute lo strumento prioritario attraverso il quale si vorrebbe garantire la “sicurezza” cittadina, tessendo una fitta rete digitale coordinata di acquisizione immagini che oltrepassa ogni credibile limite di rispetto della privacy di ognuno e giunge alla soglia della sorveglianza comportamentale.
La tutela della privacy dei cittadini è focus delle Linee guida 2.0 (2020) della UE, che ribadiscono con argomenti inoppugnabili come la privacy dei cittadini debba invece essere l’interesse maggiore perché “…queste tecnologie possono limitare le possibilità di muoversi e di utilizzare servizi in maniera anonima nonché, in linea generale, la possibilità di passare inosservati. Le conseguenze per la protezione dei dati sono enormi.” (1.1) Le Linee guida raccomandano quindi anch’esse che la videosorveglianza non sia usata come metodo preminente di prevenzione dei reati, e precisa che le autorità pubbliche non possono invocare il “legittimo interesse” alla videosorveglianza massiva come strumento di esecuzione dei loro compiti (3.23).

 

Il fatto: il 15 dicembre 2023 si tiene presso la Prefettura di Pesaro e Urbino una riunione di tutti i sindaci della Provincia per la firma del “Patto per l’attuazione della sicurezza urbana, progetto Sophia”, nel presentare il Patto si cita come base ispirativa proprio il suddetto Decreto legge, poi Legge sulla sicurezza urbana n.48/2017, con lo scopo di “…sapere quali sistemi esistono in un’area, di verificarne il corretto funzionamento e di individuare le zone non coperte in modo da poter intervenire amministrativamente per assicurare l’adeguatezza e la capillarità degli impianti”. Viene successivamente data notizia che la mappatura e l’uso delle videocamere a fini di sorveglianza va avanti includendo non solo tutte le videocamere comunali ma anche quelle della Procura, di Poste italiane, e in previsione praticamente ogni sistema di ripresa, anche di privati.
Alcuni studiose e studiosi, constatando che in nessun sito od albo istituzionale era presente copia del Patto e suo regolamento, attuano nell’agosto 2024 un Accesso agli atti europeo verso Prefettura e Provincia di Pesaro e Urbino per avere notizie più dettagliate dei sistemi tecnologici usati, delle norme per l’accesso ai dati, e delle garanzie di privacy per i cittadini.

 

La risposta della Prefettura ed i pareri:
risponde per prima la Provincia di Pesaro ed Urbino rendendo noto di non esser in possesso di alcun documento (!) e che il testo del Patto è in possesso della Prefettura. Risponde quindi gentilmente la Prefettura specificando che il Progetto ha mappato per ora 780 videocamere, e che ritiene di poter inviare copia del Patto e dei suoi allegati, avendo chiesto parere in merito al Ministero. Specifica altresì che il Patto verrà pubblicato online (non presente al momento in cui scriviamo).
Rispetto alle richieste riguardanti flusso dei dati e uso della biometria, specifica solamente che per ora il Progetto Sophia consiste in una mappa di geolocalizzazione dei punti di ripresa, eseguita su piattaforma del Comune di Pesaro. Risponde inoltre di non vedere l’obbligo di valutarne l’impatto per la privacy in quanto il progetto consente solamente “alla polizia giudiziaria di acquisire tempestivamente le immagini di interesse, prima che le stesse vengano cancellati per decorrenza dei termini di conservazione” (cosa che già però viene svolta ordinariamente).
Indica poi nel Garante Nazionale per la Privacy il titolare di eventuali reclami, anche se la rete creata col Patto è di per sé un’ entità coordinata (il Patto, appunto)che riceve e permette accessi sempre potenzialmente lesivi della privacy di una molteplice tipologia di soggetti, per questo era stata posta la domanda circa l’esistenza di un referente per la privacy interno al Progetto che verificasse l’attuazione delle norme italiane in materia di videosorveglianza (legittimità degli accessi, anonimizzazione dei dati ecc.).
Particolare importante il diniego circa la pubblicazione della mappa di geolocalizzazione. Se le videocamere debbono essere segnalate per legge con avvisi ben predisposti c’è un motivo: chiunque può decidere di sottrarre allo sguardo pubblico la sua libertà di movimento, di riunione, di socializzazione.
La prefettura risponde invece che: “…la divulgazione di tale informazione recherebbe un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici inerenti alla sicurezza pubblica e all’ordine pubblico” e che “… divulgare la posizione delle videocamere consentirebbe di individuare anticipatamente le aree sottoposte a videosorveglianza, fornendo così informazioni strategiche che potrebbero essere sfruttate per eludere i controlli. Ciò vanificherebbe l’effetto deterrente delle videocamere compromettendo l’efficacia delle attività di prevenzione e repressione della criminalità.”
La mappatura delle videocamere viene invece fortemente consigliata dalle Linee guida europee 2020 in merito: “…si possono geolocalizzare le telecamere caricando le relative informazioni su app o siti web di

mappatura, cosicché le persone possano facilmente, da un lato, identificare e specificare le fonti video

in vista dell’esercizio dei propri diritti e, dall’altro lato, ottenere informazioni più dettagliate sulla

tipologia di trattamento” (7.118).

Precisa Michele Bottari (3x1t.org): Sorvoliamo sulla risposta della Provincia, che sostiene di non avere in archivio la documentazione da essa stessa firmata nell’ambito del “Patto per l’attuazione della sicurezza urbana”. Le risposte ricevute invece dalla Prefettura oscillano tra il “non possiamo divulgare certe informazioni perché renderebbero inefficace il sistema di sorveglianza”, e il “non preoccupatevi perché il sistema è totalmente passivo, e non c’è archiviazione né confronto di dati con altri database”.
Troppo poco per non preoccuparci. Negli ultimi anni, diversi tentativi di ottenere informazioni sulle modalità di utilizzo e sull’efficacia di questi strumenti, attraverso richieste di accesso agli atti, si sono scontrati con il rifiuto del Ministero dell’Interno di fornire dati concreti. Le statistiche aggregate, che non compromettono le indagini, sono state negate con la giustificazione che potrebbero ledere l’ordine e la sicurezza pubblica.
Il punto focale, a mio avviso, è l’incrocio di dati con il database di SARI, il sistema utilizzato dalla Polizia scientifica per il riconoscimento facciale.
In paesi più attenti del nostro ai diritti umani, i dati sull’uso del riconoscimento facciale sono pubblici, in Italia il quadro è ancora incompleto. Questo impedisce un dibattito informato su una tecnologia che, pur utile per la sicurezza, può compromettere in modo serio la privacy e la libertà delle persone.”

Precisa Francesca Palazzi Arduini (obbligodigitale.it): “premesso che chiunque voglia compiere un crimine può identificare le videocamere tramite la loro segnaletica (che è un obbligo di legge), e che è noto che vi sono mille modi per non farsi identificare messi in atto da chi compie furti e delitti, non si capisce perché i cittadini non dovrebbero essere informati della localizzazione e del numero delle videocamere del Progetto Sophia, a meno che non si voglia affermare che video-riprendere persone a loro insaputa è vietato (vedi il sacrosanto recente divieto di uso di smart glasses, purtroppo solo in alcuni luoghi) ma che le istituzioni possono farlo sempre…per il nostro bene ed ordinariamente, come fossero potenzialmente sempre in corso indagini a scopo investigativo su tutto il territorio. Ciò anche se recenti gravi fatti hanno dimostrato che senza la presenza di testimoni, la responsabilità sociale e il fattore umano la videosorveglianza non è affatto risolutiva, eppure oggi è un investimento pubblico prioritario”.
Precisa Davide Marchi (3x1t.org): “La Prefettura afferma che presto verranno pubblicati tutti i dettagli del progetto, io personalmente avrei gradito che tutto questo avvenisse preliminarmente e dunque ben prima del via al progetto, coinvolgendo in questo modo la cittadinanza, cercando di capire se questa era favorevole, se la stessa era al corrente degli eventuali rischi e benefici, se la medesima era al corrente che dette somme sarebbero state investite in tale direzione e se le stesse somme fossero state sottratte da altre voci di spesa… Inoltre, per quanto riguarda la tipologia di videocamere utilizzata, sarebbe opportuno che i cittadini venissero messi a conoscenza dell’esatto modello di telecamera in uso. Alcune tipologie di telecamere prodotte in Cina, acquistate in modo massivo su indicazioni Consip e ora in uso in tutta Italia, anche in ambienti sensibili come ospedali, tribunali e strutture decisionali pubbliche, è stato confermato veicolino flussi dati verso server del …Sol Levante. Nel documento “Direttiva videosorveglianza comunale” del Min. Interno del marzo 2012″,citato dal Patto provinciale, si specificano le caratteristiche degli apparati che chiaramente vengono descritti di tipo client-server”. Alla luce di ciò occorrerebbe conoscere con precisione il modello preciso di videocamere già in uso, come quelle già in rete di Poste Italiane ed altre, e relativa loro capacità di interagire con software di analisi video operanti mediante intelligenza artificiale ”.

 

https://www.3x1t.org/

https://obbligodigitale.it/

https://www.change.org/p/chiediamo-limiti-e-trasparenza-nella-videosorveglianza

 

infoATobbligodigitale.it

 

Michele Bottari (3x1t.org, Verona) è stato uno dei soci fondatori di 3x1t.org, ha pubblicato “Come sopravvivere all’era digitale” (2019).

Davide Marchi è stato uno dei soci fondatori e poi primo presidente dell’associazione OS3, fondata per incentivare il recupero dei computer dismessi mediante Software Libero e incentivare reti libere di tipo “mesh”, attualmente attivista del gruppo 3x1t.org.

Francesca Palazzi Arduini si occupa di comunicazione e uso sociale degli strumenti digitali, è autrice tra l’altro di “Neurobiscotti. Pandemia e pubblicità” (2023) e scrive su riviste e testate web.

 

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